sabato 30 giugno 2012

Risposta al blog Asiaticom di Raimondo Bultrini

Qualche giorno fa ho scritto un paio di lunghi commenti in risposta ad un post del blog di Raimondo Bultrini, Asiaticom. Bultrini ha evidentemente deciso di non pubblicare i miei post e quindi li posto qui, tali quali.
 I toni, che possono risultare un pò scortesi, soprattutto del primo post, sono da intendere come risposta alle affermazioni di Bultrini relative ad un lettore, che l'Autore accusa di "viaggiare senza vedere e senza conoscere la storia", di fare "viaggi senza bussola" e di trovare le sue affermazioni "terribilmente volgari" solo perché il lettore non la pensa allo stesso modo.
Il fatto che i miei post non siano stati pubblicati può significare 3 cose:
1-solo l'Autore del blog si arroga il diritto di scrivere lunghi post di risposta
2-l'Autore del blog si arroga il diritto di essere scortese con i propri lettori ma non è disposto che essi siano scortesi con lui
3-L'Autore del blog alla faccia della libertà e tolleranza di facciata non ammette repliche alle proprie tesi. Mi accingo a postare un altro messaggio sul blog di Bultrini, in cui rimando qui. Se verrà pubblicato, probabilmente l'opzione 1 o 2 sono corrette. Se neanche questo messaggio verrà pubblicato, probabilmente l'opzione 3 è quella corretta. Aggiornerò il post a breve con la risposta [vedere aggiornamento alla fine del post].

27 giugno 2012 alle 10:30

 @Mario Zampiero Secondo me hai commesso un errore, e cioè avere fiducia della “onesta intellettuale”, e quindi nell’imparzialità, di chi invece è dichiaratamente “partigiano” e quindi parziale. Partigiano tra l’altro di una “parte” a forte connotazione religiosa, e quindi non approcciabile tramite pragmatismo e analisi dei fatti ma soggetta a distorsioni ideologiche. E’ quindi purtroppo inutile tentare di discutere in maniera logica e “super partes” con chi “super partes” non è. Con chi, ad esempio, è pronto ad accettare per genuine le dichiarazioni del Dalai Lama su “genocidi culturali” e richieste di “autonomia e non indipendenza” e di “proteste pacifiche” ma a bollare come ipocrita propaganda le dichiarazioni di Pechino sulla ricerca di “armonia”. A chi è “super partes”, appare ovvio che si tratta di dichiarazioni propagandistiche di entrambe le parti, ma, evidentemente, ciò non è cosi banale per chi è dichiaratamente “partes”.

Eppure basterebbe andare a vedere cosa scrive il Dalai Lama in merito sui documenti ufficiali riguardo all’autonomia del Tibet(la regione storica, non quella ufficiale, quindi quasi 1/4 del territorio cinese, d’altra parte Tenzin Gyatso stesso non è di origini propriamente tibetane). Oppure riflettere sul fatto che finora il Dalai Lama non ha fatto nulla per fermare i giovani che si immolano in suo nome, se non blande dichiarazioni di impotenza (proprio lui, l’idolo indiscusso di chi compie tali azioni).

D’altra parte il pacifismo, nei fatti, non è mai stato una priorità dell’Oceano di Saggezza, dai tempi delle amicizie naziste a quelli del suo diretto coinvolgimento nei campi di addestramento armato dei guerriglieri tibetani sponsorizzati dalla CIA fino al suo supporto e legittimazione dietro lauto compenso della setta di Shoko “Gas Sarin” Asahara, Aum Shinrikyo e al supporto per il presidente Bush e le sue “buone intenzioni” specialmente il suo supporto alla guerra in Afghanistan rende chiaro che il Dalai Lama proprio non porge l’altra guancia.

 Immagina poi cosa verrebbe detto di un italiano che parlasse di “genocidio culturale” della cultura milanese, poichè il governo italiano ha promosso l’immigrazione di massa dei meridionali verso il nord, al punto che ormai essi rappresentano la maggior parte della popolazione delle grandi città settentrionali. Neanche i più fanatici leghisti si spingerebbero a fare affermazioni simili.

Tra l’altro, conosco moltissimi cinesi di etnia mongola e sono tanto orgogliosi delle loro origini mongole quanto del fatto di essere cinesi. E non vedono assolutamente alcuna contraddizione in ciò, essendo tra l’altro due culture interrelate e soggette a reciproche influenze da centinaia di anni, con dinamiche simili peraltro a quelle in atto sempre da centinaia di anni tra cultura tibetana e cinese (e se per questo anche la cultura mongola e quella tibetana sono strettamente intrecciate, anche se sarebbe assurdo parlare di genocidio culturale subito dai mongoli da parte dei tibetani dato che in Mongolia è diffuso il buddismo tibetano). Una sparuta minoranza tra i mongoli cinesi che conosco, ce l’hanno con il governo cinese e con gli han, ma ovviamente questi sono quelli che hanno più risalto presso i media e sono quelli che più spesso sono in contatto con i giornalisti “occidentali”.

Ti conforto poi sul fatto che a me sembra chiaro che la tua ultima affermazione si riferisce all’ipocrisia della cultura occidentale e dei suoi rappresentanti, sempre pronti a vedere la pagliuzza negli occhi altrui ma mai la trave nei propri, per rimanere in tema religioso. Evidentemente l’ideologia di alcuni, oltre alle travi, negli occhi ci mette anche qualche fetta di salame. (e spero che ciò non risulti terribilmente volgare..)

28 giugno 2012 alle 21:11

 nella lunga attesa e speranza che il mio precedente post venga approvato, vorrei se possibile controbattere ad alcuni punti della risposta dell’Autore al lettore Zampiero.

“Basterebbe riflettere sulla sorte dei mongoli”
Forse non si riflette abbastanza spesso sulla complessità delle dinamiche sociali presenti in Cina. Vorrei ricordare un avvenimento successo circa un anno fa (ricordo che amici mongoli emigrati nelle città dovettero tener chiusi i negozi una settimana per paura di scontri), quando un camionista Han uccise barbaramente investendolo un uomo di etnia mongola che bloccava il passaggio nel corso di una protesta contro le condizioni di lavoro nelle miniere di carbone. La risposta del governo cinese fu quella di emettere in tempo record una condanna a morte per il camionista. Questo per evidenziare, a prescindere dalla gestione politica della giustizia, che l’obbiettivo primario del PCC è sempre lo stesso, quello che peraltro il governo stesso non smette mai di dichiarare, e cioè la stabilità, a prescindere dall’etnia. Tant’è vero che è risaputo che le minoranze godono di privilegi che sono spesso negati agli Han. La politica del figlio unico non si applica alle minoranze, che godono anche di sgravi fiscali, agevolazioni per l’ingresso in università, tariffe sanitarie scontate, ecc.. Inoltre nei villaggi rurali ancora adesso si usa la lingua locale e il cinese, e ovunque le insegne sono almeno in due lingue. Insomma, se tali politiche fossero applicate in Italia, sarebbero il sogno di tutti i leghisti. Questo per dire che l’equilibrio tra il preservare le tradizioni e la modernità è estremamente difficile da raggiungere, se non impossibile. E tutto sommato le politiche del PCC non sono tra le peggiori a riguardo. Riguardo le migrazioni di massa, non sono certo iniziate con l’avvento del PCC, essendo dinamiche in atto perlomeno dall’ottocento, anche solo per ragioni geo-demografiche.

“i soldati cinesi sui tetti delle pagode”
qui mi sembra che sia l’Autore a macchiarsi di ciò che Egli addossa al lettore, e cioè di ignorare il contesto storico-sociale. Ricordo solo le proteste del 2008, in cui la città fu messa a ferro e fuoco dai rivoltosi, a prescindere dalle cause e le ragioni, che qui non è possibile approfondire.

“nel vedere una statua della Cappella Sistina per sempre deturpata dai picconi delle guardie rosse” qui l’autore omette di menzionare che i maggiori scempi di monumenti storici tibetani furono commessi in larga parte dai giovani tibetani delle classi popolari, spesso colti da furia cieca e pseudo-liberatoria per reazione alla consapevolezza di non essere più sottomessi al giogo della casta dei lama. Non lo dico certo io ma, per esempio, uno dei più rispettati conoscitori della storia tibetana, il dissidente cinese Wang Lixiong

 “Al Dalai lama, nel lontano 1959, non fu data la possibilità di guidare il Paese"
forse potrebbe centrare qualcosa il fatto che fosse in combutta con la CIA già da diversi anni?

“chi può dire oggi se il corso del Tibet governato dal Dalai lama – nell’ipotesi che la Cina non l’avesse invaso – sarebbe stato più moderno e umano di quello cinese?”
come scrive l’Autore, la storia non si fa con i se e con i ma. Possiamo però studiare come andarono a finire tentativi simili, per esempio quello di Tsarong, illustre e celebre tibetano al servizio del 13mo Dalai Lama, che ci provò negli anni ‘30 e venne per questo duramente punito e degradato dall’aristocrazia tibetana, prima di morire in una prigione cinese.

 “i tibetani non hanno avuto nessun ruolo – se non cerimoniale – nelle gerarchie comuniste nazionali”
 Questa è una affermazione oggettivamente falsa. Solo per citare un esempio, faccio quello di Ngapoi Ngawang Jigme, nato nell’aristocrazia tibetana, combattente dell’esercito tibetano della prima ora, ha ricoperto importanti ruoli di rilievo nazionale ed internazionale all’interno del PCC, ed è ancora oggi rispettato sia dai cinesi che dai tibetani

“Sarebbe interessante leggere quali “straordinari passi in avanti in tema di diritti umani” siano stati compiuti in Cina”
Questa è un’affermazione a cui francamente ormai chiunque guardi la questione Cina con un minimo di obiettività potrebbe facilmente rispondere. A prescindere dal miglioramento delle condizioni di vita di centinaia di milioni di persone, un esempio tra molti, le condanne a morte e soprattutto le relative esecuzioni sono in netto e costante calo negli ultimi anni. “esprimere pubblicamente un dissenso di qualunque natura è considerata “un attentato alla sicurezza dello Stato” Anche questo è facilmente refutabile. Se l’Autore conosce il cinese, potrà leggere quotidiamente sui giornali cinesi denunce dei giornalisti riguardo a politici corrotti, condizioni di lavoro non degne, degrado ambientale ed altri temi al momento facenti parte dell’attualità politica e civile cinese. Vorrei fare anche l’esempio di Zhang Boshu, ex prof della Chinese Academy of Social Sciences, uno dei maggiori think tank e accademie cinesi. Egli scrive articoli come questo, in cui afferma senza giri di parole “”Tibetans have already made preparations for a democratic political system. Shouldn’t the central government in Beijing make similar preparations?” A onor del vero, il prof, che non è mai stato torturato, nè imprigionato, è stato recentemente licenziato dalla CASS e fatica a trovare un nuovo impiego. Ma, a pensarci, è cosi diverso da ciò che succede qui da noi? Possiamo immaginarci, chessò, un fervente critico della società occidentale a capo di una cattedra alla LUISS, o un anarchico che insegna alla Bocconi? Oppure, un giornalista di “libero” a favore del centro-sinistra o un giornalista di repubblica (e non ce l’ho in particolare con l’Autore di questo blog) che non sia allineato con il pensiero liberale-pseudodisinistra, tipico dell’occidente? Si potrà obiettare che sono giornali privati ed ognuno segue ovviamente una propria linea, ma io francamente faccio fatica, per usare un eufemismo, a trovare testate che rappresentino un pensiero autonomo e indipendente, slegato da quei pochi determinati e ormai arretrati schemi di pensiero che la fanno da padrone.

UPDATE 02/07/2012
Al momento Bultrini, che ha pubblicato un ulteriore lungo post di risposta agli interventi di cui sopra, ha pubblicato solo uno (il secondo) dei mei commenti, tra l'altro dopo un mio ulteriore sollecito. L'intervento pubblicato è stato in parte sintetizzato da Bultrini, ma senza che ciò ne pregiudichi il significato. Dispiace la non motivata "censura" (voluta o meno, ma tant'é..) dell' intervento relativo ad alcuni aspetti meno pubblicizzati della vita del Dalai Lama. Anche perché Bultrini nella sua risposta fa riferimento ad alcune frasi di tale intervento, ed i suoi lettori rischiano di non comprendere pienamente ciò di cui si sta discutendo.