domenica 13 aprile 2008

ripercorrere le tappe dell'attuale crisi in Tibet

Vorrei tornare un momento all'attualità e cercare di ripercorrere le tappe che hanno portato alla odierna crisi in Tibet, in attesa delle prossime tappe in India e a Lhasa della marcia olimpica. Focalizzo l'attenzione non sulla politica cinese, poiché credo che non ci sia carenza di informazioni a riguardo da parte dei media, ma concentrandomi invece sulla politica del "Parlamento Tibetano in Esilio", forse un pò meno discussa in questi giorni.
Ovviamente quella che segue è semplicemente la mia versione della storia, non è La Storia, ma credo che chi continui la lettura possa trovare interessanti spunti di riflessione.

Nonostante il circo mediatico mondiale abbia puntato i propri riflettori sul Tibet, non mi è ancora capitato di leggere un articolo da parte di una qualsiasi tra le testate giornalistiche italiane e straniere, che abbia trattato e descritto la situazione politica odierna in Tibet. I giornali cinesi accusano la "cricca" del Dalai Lama senza fornire maggiori dettagli, e la stampa occidentale si limita ad accusare tutta o quasi la controparte cinese di essere al soldo della propaganda governativa e non ritiene evidentemente necessario cercare di chiarire tali questioni ed approfondirle.

Se a qualcuno venisse la legittima curiosità di sapere chi, oltre al Dalai Lama, svolge un ruolo importante all'interno del governo tibetano in esilio e di conoscere meglio gli esponenti delle varie fazioni, più o meno moderate, presenti all'interno di tale "governo", non riceverebbe molto aiuto dai fiumi di parole stampate su tutti i giornali in questi ultimi mesi.

Al cittadino curioso e deciso a saperne di più, non resta che affidarsi alle armi a sua disposizione, un pc collegato ad internet e qualche buon motore di ricerca, per cercare da sè le informazioni, consapevole della limitatezza e parzialità dei propri mezzi, ma non potendo fare altro visto che coloro i quali sono pagati per informare evidentemente non ritengono necessario (neanche al fine di cercare possibili soluzioni alla crisi in corso) analizzare nel dettaglio tutti i fattori in gioco.

Una domanda che credo sorga spontanea nel giudicare i fatti recentemente accaduti in Tibet, è chiedersi quali siano le organizzazioni e le persone che potrebbero avere un ruolo rispetto a quanto successo.

A tale proposito, qualche settimana fa avevo cercato di saperne di più ed ero risalito, grazie anche all'aiuto di altri blog, al Tibetan's People Uprising Movement, sigla "ombrello" sotto la quale si riuniscono 5 tra le maggiori organizzazioni dedicate al raggiungimento dell'indipendenza del Tibet.
Sono presenti su questo blog miei commenti in cui linko a documenti e dichiarazioni di tale organizzazione, a partire dal Gennaio '08, in cui si può vedere chiaramente come il movimento stesse preparando atti dimostrativi in tutto il mondo in previsione delle Olimpiadi di Pechino e della ricorrenza del 10 Marzo in Tibet, ed incitando la popolazione di etnia tibetana in Cina a ribellarsi contro il governo cinese allo scopo di ottenere l'indipenzenza di tutte le genti di etnia tibetana.

Credo che una presentazione delle più importanti personalità all'interno di tali movimenti indipendentisti sia utile per chiarirne ulteriormente motivazioni, scopi e metodologie.

I molteplici gruppi pro-tibet più "intransigenti", che considerano l'indipendenza del Tibet obiettivo irrinunciabile della loro lotta, da raggiungere attraverso qualsiasi mezzo, sono rappresentati, oltre che dal TPUM, da alcune tra le più famose e carismatiche figure all'interno del Governo Tibetano in Esilio.
Tra i padri spirituali e culturali della "linea dura" fanno parte lo scrittore tibetano ed ex "combattente" Jamyang Norbu e lo scrittore-poeta Tenzin Tsundue, mentre da un punto di vista più politico-operativo, due tra le figure di spicco del movimento sono Tsewang Rigzin (presidente del Tibetan Youth Congress) e Karma Yeshi (membro del governo tibetano in esilio, editor di "The Voice of Tibet"). Tutti e 4 fanno parte o hanno fatto parte del Tibetan Youth Congress.

Ovviamente tali gruppi sono attivi da molto prima del marzo scorso, da prima ancora che le Olimpiadi venissero affidate a Pechino. Risale all'aprile 1999 un documento, firmato da Norbu , intitolato "Rangzen Charter" (Rangzen significa libertà in tibetano, ma è chiaro che il vero significato è "indipendenza") che può essere definito il "manifesto" dei movimenti indipendentisti tibetani.

In tale documento viene lucidamente analizzata la situazione di stallo del dialogo tra Dalai Lama e PCC,

"as in 1959, the Tibetan people are being called upon by history to make a choice [...] the Tibetan people's hope for Rangzen still stubbornly refuses to be crushed"

Norbu afferma che è la stessa identità nazionale e culturale dei tibetani che che non gli consente di accettare un governo "cinese", neanche se in un contesto di autonomia:

"the strength of Tibetan cultural and national identity makes the Tibetan people unable to accept Chinese rule[...]The hope for any kind of autonomous status under China is not realistic because it assumes that the Chinese system is flexible enough or tolerant enough to accommodate different political or social systems within it."

Norbu concorda curiosamente con Wang Lixiong sul fatto che, come avevo già evidenziato in un precedente commento, "one of the reasons for the 1987 Lhasa demonstrations was the relaxation of earlier repressive policies" (a differenza di quanto comunemente si pensa, e cioè che le recenti violenze siano state scatenate da un inasprimento della repressione sul Tibet) volendo con questo indicare come

"Economic improvement in the lives of Tibetans in Tibet, even if it did happen (which it hasn't in a meaningful sense) would not significantly alter their feelings in this regard [...]Even if, in the most unlikely future, China were to agree to some kind of autonomous status for Tibet it would have to maintain its full apparatus of repression in Tibet, as it is doing now, to crush the inevitable resurgence of the desire and struggle for independence - which would negate the very idea of autonomy".

Questo scritto solamente basterebbe a far capire come, dal punto di vista degli indipendentisti, sia inutile anche solo parlare di dialogo con il PCC, e che non esiste altra soluzione per il Tibet se non l'indipendenza assoluta e totale dalla Cina.

Il passo successivo consiste nel chiedersi se tale obiettivo sia realmente perseguibile. Ovviamente la loro risposta è si, e qui, a mio parere, cominciano i rischi e la seria minaccia che tali movimenti rappresentano per il PCC, e quindi per la stabilità e la pace in Tibet e in Asia.
Infatti, Norbu prosegue affermando che

"The reality of China is a country in terminal decline[...]a gradual and peaceful transition to a democratic China is a near impossibility[...] The possibility for anarchy and chaos is very real. In such an eventuality windows of opportunity for the realisation of Tibetan independence would certainly open up[...] At the same time, it must be stressed that achieving Rangzen does not merely depend on waiting for China to self-destruct. Tibetans could contribute to that process by bringing about destabilisation inside Tibet and by organising international economic action against China."

Sembra abbastanza chiaro che tali affermazioni, in particolare l'ultima, non possono essere accettate (per usare un eufemismo) dal PCC.

A rincarare la dose ci pensa Tenzin Tsundue, che afferma che

"we are in position and indeed are seriously seeking partnership with other countries, communities and parties who are directly affected and are fighting the corrupt and degenerated communist government of Beijing[...]Independence of Tibet is my childhood dream and no matter what it takes, I will make sure it happens in my lifetime[...]There will be a time when China can no longer hold control on all the occupied countries: Mongolia, East Turkmenistan, Tibet, Manchuria and the dissent from within China, as T.S Eliot prophesied "centre cannot hold, things fall apart." Independence is a possibility, autonomy is begging.[...] The Devastation of this Chinese Glass World will be the biggest event of this new century[...] The strategic purpose of working from exile is to give support to the struggle that is going on inside Tibet".

La metodologia proposta da tali pensatori è quella di "an active non-violent resistance, where we confront our adversary rather than trying to engage with them". Tuttavia la retorica della non-violenza è spesso ambiguamente contraddetta da allusioni varie e dalla consapevolezza che comunque ogni mezzo è buono se il fine è quello dell'indipendenza.
In uno scritto più recente a riguardo, del Maggio 2004, sempre Norbu dapprima giustifica i combattenti (essendo lui stesso uno di loro) che hanno difeso l'indipendenza tibetana con la forza delle armi

"this mission to project Tibetan history and contemporary events through the rose-tinted lens of official pacifist ideology ignores the sacrifice and courage of the many thousands of Tibetan freedom fighters (monks and lamas included) who took up arms to fight for the freedom of their country", per poi evidenziare come in realtà la non-violenza non sia un cardine così fondamentale della lotta tibetana "Mahatma Gandhi[...] felt that terms like "pacifism" or "non-violence" did not fully convey the essential spirit of his philosophy of action[...] "I make no distinction, from the point of ahimsa," Gandhi argued, "between combatants and non-combatants [...] The point I am trying to make here is that though Gandhi was himself unwaveringly committed to his non-violent ideology he did not allow it to blind him to reality, nor lead him into dishonesty in its propagation. He did not hesitate to state that recourse to violence was not something that could be entirely avoided in the course of human affairs. [...] Tibetan ideas on non-violence are, by comparison, confused, naive, and in certain cases seem to derive from magical beliefs inherent in traditional Tibetan thinking[...] people and nations are sometimes confronted with problems where violent action seems to be not only the only possible solution but the heroic and wise one as well. [...] was it wrong for the people of Lhasa to rise up in armed rebellion to protect the life of the Dalai-Lama? Was it wrong of the Dalai-Lama to use the armed escort of resistance fighters to escape from Lhasa?[...]the Dalai-Lama owes his freedom, his present international stature and maybe even his Nobel Peace Prize to violent men who rescued him [...] This article does not seek to advocate that Tibetans take up arms here and now, but to point out to our leaders and friends that the complexities of human affairs call for a more eclectic and robust approach to the Tibetan problem than the current pacifist inertia." Norbu conclude il suo articolo con queste parole "Use peaceful means where they are appropriate; but where they are not appropriate, do not hesitate to resort to more forceful means."

Jamyang Norbu fa anche parte della Rangzen Alliance (consigliata una visita), dal cui sito cito:

"The Rangzen Alliance believes that only an active, fearless and unwavering conduct of the Freedom Struggle by Tibetans is the road to the eventual achievement of this goal.

That the struggle will require the commitment and sacrifice of the Tibetan people for its success. That the struggle is not an intellectual pastime, a sinecure, a diversion or a charitable cause, but a revolutionary movement demanding courage and sacrifice[...] Only and unless we can cause China sufficient loss or damage to its economy, image or security, will it ever agree to even the minimum of concessions[...] The Rangzen Alliance is convinced that China is an anti-human, totalitarian state bent on the eradication of Tibetan identity and people[...] The Rangzen Alliance salutes the courageous freedom fighters inside Tibet". In realtà nonostante i toni forti l'unica iniziativa che viene ufficialmente sostenuta è "una campagna globale di azione economica diretta contro la Cina".

Se questi sono i maggiori ideologi del movimento indipendentista, è utile ora approfondire le gesta di due tra le figure principali del Tibetan's People Uprising Movement, Karma Yeshi e Tsewang Rigzin.
Il primo, membro del "Parlamento Tibetano in Esilio", ex presidente del Tibetan Youth Congress ed editor di The Voice of Tibet, ha iniziato a battersi per il boicottaggio delle Olimpiadi prima ancora che esse venissero assegnate alla Cina; Nel Giugno 2001 una lettera minatoria è inviata

"a tutti i membri del CIO nel mondo e alla sede centrale di Losanna", in cui si legge: "giuriamo di riuscire ad ogni costo a scovare le persone che voteranno a favore della candidatura cinese"…"mostreremo quanto siano forti la nostra determinazione e i mezzi in nostro possesso"…"questa è un’autentica e seria minaccia di rappresaglia contro i membri del CIO che voteranno a favore della Cina, contro il quartier generale di Losanna e contro il pacifico svolgimento dei Giochi Olimpici dell’anno 2008 nel caso si svolgessero in Cina...ricordate che non possiamo accettare che la Cina ospiti i Giochi e, in ogni caso, non abbiamo nulla da perdere. Ricordate inoltre che abbiamo già compiuto e continueremo a compiere in Tibet, Cina e altrove attentati e azioni ritenute criminali. Questa volta siamo determinati ad andare avanti".

Karma, pur opponendosi ai giochi in Cina, dichiara di considerare tale lettera un atto provocatorio del governo cinese per screditarne gli oppositori, ma nello stesso tempo dichiara anche che ""Non siamo a conoscenza del documento e non viene da noi ma abbiamo membri in tutto il mondo e forse alcuni di loro possono avere scritto questa lettera spinti dall’amore per il loro paese e dalla dedizione alla causa tibetana. Non posso biasimarli".
Successivamente organizza diversi workshop chiamati "Non-violent action for Tibet" in collaborazione con il già citato Tenzin Tsundue. Uno di questi workshop, nel 2002, è dedicato alla 'Freedom Struggle Inside Tibet', mentre prima dell'intervento di Karma vengono presentati 3 libri, uno di Gandhi, uno intitolato "Rangzen Band" e l'ultimo è "198 Methods of Non-Violent Protests and Persuasion" del Dr. Gene Sharp, promotore dell'uso dell'azione non-violenta per "democratizzare" il mondo. I suoi manuali sono stati utilizzati dagli attivisti delle cosiddette "rivoluzioni colorate" in Serbia, Georgia, Ucraina, Kyrgyzstan e Bielorussia. Il suo libro più famoso, "from Dictatorship to Democracy", è stato tradotto anche in tibetano, insieme a "The Power and Practice of Nonviolent Struggle", che sfoggia una prefazione nientemeno che del Dalai Lama, con tanto di sigillo divino, e la cui versione inglese contiene capitoli con titoli quali "Nonviolent Action: An Active Technique of Struggle; The Methods of Economic Noncooperation: Boycotts; The Methods of Nonviolent Intervention.
E' utile notare a questo punto come le cosidette "rivoluzioni colorate" siano state in larga parte finanziate e sponsorizzate da enti americani legati al NED, e, per chiudere il cerchio, The Voice of Tibet, l'emittente radio di cui Karma è l'Editor, riceve finanziamenti proprio dal NED, insieme ad altre organizzazioni rappresentate dal TPUM . Per chi sia interessato a tale argomento, consiglio una visita a questo sito.

Nel 2004, in qualità di membro del parlamento in esilio, Karma contribuisce all'approvazione di una risoluzione per "rivedere la politica della via di mezzo perseguita dall'amministrazione in esilio se non si fosse ottenuto un responso positivo da parte cinese entro Marzo 2005".
Il Tibetan Youth Congress spiega che si è giunti alla decisione di approvare tale risoluzione a seguito della pubblicazione da parte del PCC del "white paper" sul Tibet in cui si afferma che

"the issue of resuming exercise of sovereignty does not exist (as it had existed in Hong Kong and Macao),...the possibility of implementing another social system (in Tibet) does not exist either[...] Any act aimed at undermining and changing the regional ethnic autonomy in Tibet is in violation of the Constitution and law, and it is unacceptable to the entire Chinese people, including the broad masses of the Tibetan people[...]the local government of Tibet headed by the Dalai Lama representing feudal serfdom under theocracy has long since been replaced by the democratic administration established by the Tibetan people themselves."

Questa visione sul futuro politico del Tibet stride ardentemente con quella di Karma, che afferma:

"His Holiness the Dalai Lama in his future political vision of Tibet, he clearly stated that future Tibet will be ruled by political party system. Tibetan Youth Congress (TYC) gave birth to first ever political party called National Democratic Party of Tibet (NDPT) in 1994. This is a big initiative undertaken by TYC.[...]I have my share of contribution in the formation of NDPT. I strongly support its manifesto and political stand. NDPT stands for Rangzen".

Tsewang Rigzin è l'unico personaggio, tra quelli qui presentati, su cui, per quanto ne so, si sia fatta un pò di luce. Tsewang è stato anche intervistato da Cremonesi del Corriere in un articolo del 27 Marzo, in cui egli afferma:

"È un fatto che la non violenza predicata dal Dalai Lama non ci porta da nessuna parte [...]potrebbe presto arrivare l' ora di cambiare strategie di lotta [...]il pacifismo ci ha condotto su di un binario morto[...]Guardiamo invece come si fanno sentire i palestinesi e gli attivisti in Iraq grazie agli attentati suicidi[...] Mi spiace che civili siano coinvolti nello scontro."

Peccato che a Cremonesi non sia venuto in mente di chiedere a Tsewang se non pensasse che le sue affermazioni potessero essere utilizzate a sostegno di quanto affermato dai media cinesi negli ultimi giorni, e anche che non si sia soffermato a sottolineare che Tsewang, oltre che essere presidente del Tibetan Youth Congress, che vanta 30000 membri con 81 sezioni sparse per il mondo, è anche uno dei principali organizzatori del TPUM.

Non è comunque difficile prevedere un futuro come quello prospettato da Twesang se si pensa che l'intera strategia su cui si basano gli indipendentisti, realizzata mediante azioni dirette, violente o meno che siano, con lo scopo di destabilizzare la Cina dal suo interno e dall'esterno, non può che essere ragionevolmente interpretata come una istigazione al suicidio di massa.

Nell'Aprile 2006 Tenzin Tsundue pubblica un articolo in cui si oppone ufficialmente al Dalai Lama e alle disposizioni di quest'ultimo relative al non organizzare proteste in coincidenza della visita di Hu Jintao negli U.S.A. Tenzin scrive:

"the issue of Tibet is beyond the power and authority of His Holiness the Dalai-Lama and this, His Holiness himself has been saying from the beginning[...]TSGs are for Tibet, not for the policies of the Exile Government that changes from time to time, as per political need. Our difference of opinion is only natural, there must be mutual respect. We must celebrate the difference.
The Tibetans are not scattered in different parts of the world, we have spread all over the world. And from every corner of the world there should be free Tibet campaign. "

Un utile e interessantissimo articolo che ripercorre gli avvenimenti accaduti più recentemente all'interno del movimento indipendentista tibetano è quello scritto da Mathieu Vernerey francese promotore dell'indipendenza in Tibet.
Vernerey esordisce riconoscendo i passi avanti fatti dal movimento indipendentista in ambito globale:

"Several events have been held in 2006 and 2007: Declaration of Independence of the Nations of High Asia (Washington, September 2006), International Conference of the Dhokham Chushi Gangdruk (New York, December 2006), International Forum for a Free Tibet (Turin, May 2007), International Union of Socialist Youth Asia-Pacific Committee Meeting (Ulaan Baatar, June 2007) and the Conference for an Independent Tibet (New Delhi, June 2007). All these events are many "first steps" in the dynamic, emerging movement in favour of Rangzen.".

Poi però egli fa notare come il passo più grande debba ancora essere compiuto, serve che le varie anime del movimento si uniscano in un movimento strutturato e unificato:

"But after the "first step", the most important is the one that follows, and perhaps the one to be decisive: the unification and the structuring of Rangzen movement. There are several great Rangzen figures - like Jamyang Norbu, Lhasang Tsering, Tenzin Tsundue, etc. - and several Tibetan NGOs supporting Rangzen - like Tibetan Youth Congress, Dhokham Chushi Gangdruk, Students for a Free Tibet etc. - but there is no unified and a structured movement: which is probably the most important and the only absolute precondition to any alternative strategy or campaign."

Successivamente Vernerey si dedica ad un esame più approfondito della scena politica del "Parlamento Tibetano in Esilio":

"since its creation in 1960, the Tibetan Parliament in Exile (TPiE) persists on a strictly regional and religious system of representation. Identification is not based on political ideals, objectives or programmes, but only on traditional provinces or religious sects [...] The Tibetan Parliament functions with no political party system. Although the Tibetan Charter in Exile doesn't proscribe this kind of representation, it simply doesn't deal with political party - what Tibetans often basically answer as a natural fact, without questioning this constitutional blank. At best, they refer to the Guidelines for Future Tibet by the Dalai Lama, who advocates multiparty system [...] this vision could function only in an independent and sovereign Tibet - free to decide its proper way of governance - but it would be contradicted by the Chinese constitutional framework to which it doesn't refer by the way. So, quite paradoxically, this vision found in Middle Way policy is tacitly or unintentionally an advocacy for Rangzen."

Quindi nel PTiE c'è fermento in quanto tale organismo si sta trasformando, da sistema univoco a base religiosa a sistema democratico multipartitico, con la benedizione dello stesso Damai Lama. Vernerey fa giustamente notare che il sistema multipartitico a cui sembra aspirare il Dalai Lama, anche se in un futuro indefinito, non prende in cosiderazione il fatto che tale visione stride con le dichiarazioni del Dalai Lama in merito alla "via di mezzo" e alla rinuncia di indipendenza, a meno che il Dalai stesso non pensi che la Cina possa accettare per il Tibet un sistema multipartitico in cui probabilmente la maggior parte dello schieramento sarebbe dedita all'indipendenza e al sabotaggio della Cina.
Qui nasce l'ambiguità di fondo della figura del Dalai Lama, e, per quanto in Occidente tali problematiche non sono state, per quanto ne so, minimamente trattate, sicuramente sono considerazioni che non sfuggono al PCC.

L'articolo prosegue andando a presentare quello che dovrebbe essere uno dei maggiori partiti politici tibetani, il National Democratic Party of Tibet (NDPT), di cui abbiamo già trattato in merito al ruolo di Karma Yeshi all'interno di tale partito, che ha lo scopo di inserire le rivendicazioni indipendentiste in un contesto pseudo-politico. L'auspicio è che tale partito, rappresentante delle istanze seccessioniste, diventi maggioritario:

"As Karma Choephel says in his interview: "At present it can be said that within the Tibetan parliament there is a majority support for the Middle Way policy. But I sense that the longer the present stalemate, of getting no concrete response from the Chinese side remains, more members tend to waver in their position. (...) So I feel that in future also if the stalemate remains, support for Rangzen will grow in the house".

Anche per questo Vernerey consiglia prudenza e pazienza al movimento Rangzen. Egli reputa che la cosa migliore sia conservare, almeno di facciata, l'adozione della politica della via di mezzo, adottata dal Dalai Lama, e nel frattempo far sviluppare e maturare anche politicamente il movimento indipendentista. Analizzando tale tattica, se ne deduce che probabilmente il movimento indipendentista si sente ancora debole, in termini di potere, rispetto ai moderati seguaci del Dalai Lama, e quindi si proietta in un futuro in cui il Dalai sarà fuori dalla scena e il movimento Ranzgen sarà più solido.

Per ultimo Vernerey pone in guardia rispetto all'atteggiamento "vogliamo tutto e subito" tenuto da alcuni elementi all'interno del movimento indipendentista. In particolare l'autore sconsiglia di farsi prendere la mano dalla ghiotta occasione rappresentata dalle Olimpiadi in Cina:

"Rangzen activists should not focus too much on Beijing Olympics, as fundamentally Rangzen cause has no link with Chinese affairs. Beijing Olympics are a great opportunity to highlight Tibetan issue and to confront China, but it is not a goal in itself. It should not become a pretext to postpone again what is more important than everything: the unification and the structuring of the Rangzen movement and the advent of its political representation. Long term strategies have more consistence than immediate and just reactive actions[...] Yes, Rangzen is possible, but without getting ahead of schedule: step by step."

Sempre nell'articolo di Vernerey vengono citati 2 incontri partecipati dall'elité del movimento indipendentista:

"All this could and should be discussed by Tibetan Rangzen activists during their next meeting, in December, in Dharamsala. As many of them - Sonam Topgyal, Jamyang Norbu, Lhasang Tsering, Karma Yeshi, Tenzin Tsundue, Sonam Wangdu etc. - met last June, they decided to organise a next meeting or conference at the end of this year to discuss further strategies. Technically, the formation of Rangzen parliamentary group could be planned as soon as possible - since there are several Tibetan deputies close to Rangzen. This initiative could then be made official during the next session of the Tibetan parliament, in March 2008. Furthermore, a Rangzen political party could emerge - a revitalised NDPT or a new "real" party - and campaign in view of the next Tibetan legislative elections, in 2010."

L'incontro citato, tenutosi nel Giugno 2007, è riassunto in questo articolo in cui si legge

"over two hundred Indians and Tibetans listened to Jamyang Norbu, noted Tibetan writer and veteran activists for Tibet’s independence, as he explained how the next two years are crucial for Tibet, and how the Olympics could provide the one-chance for Tibetans to come out and protests “like one mighty force”. He noted that unless a mass protest occurs, Tibet would continue to slip out of the world map, leaving very little to protest for."

La parola passa poi all' "eroe" Tenzin Tsundue che afferma:

"If our non-violence fails, we will have to find other means. The international community has the responsibility to support and make the Tibetan struggle succeed."

Il successivo incontro del movimento risale al Gennaio 2008, quando viene presentato ufficialmente il "Movimento di sollevazione tibetana". Il movimento rilascia le seguenti dichiarazioni:

"un nuovo sforzo coordinato di resistenza tibetana in preparazione delle Olimpiadi di Pechino del 2008. I Giochi avranno luogo solo pochi mesi prima dell'anniversario della Rivolta Nazionale Tibetana del 1959 contro l'invasione cinese del Tibet. Gli organizzatori del movimento rivolgono un appello a tutti i tibetani nel mondo perché si uniscano alla protesta durante i Giochi Olimpici e sostengano una marcia del ritorno che riporti in patria gli esiliati tibetani.[...]lanciamo un movimento unitario per porre fine al dominio cinese in Tibet, afferma Tsewang Rigzin, Presidente del Tibetan Youth Congress".
"Il Movimento di Sollevazione del Popolo Tibetano è un movimento globale di tibetani all'interno e all'esterno del Tibet per prendere il controllo del nostro destino politico, impegnandosi in azioni dirette per porre fine alla brutale ed illegale occupazione cinese del nostro paese. Attraverso campagne unitarie e strategiche useremo le luci olimpiche volgendole ad illuminare la vergognosa repressione cinese nel Tibet, negando così alla Cina l'accettazione internazionale e l'approvazione tanto agognate.

Chiediamo ai tibetani in patria di continuare a combattere il dominio cinese e ci impegnamo a sostenere con fermezza la loro continua e coraggiosa resistenza. Ai tibetani in esilio e ai sostenitori nel mondo libero chiediamo di cogliere ogni opportunità per protestare contro il Giochi Olimpici in Cina e di sostenere la lotta per la libertà del popolo tibetano."

Nel Febbraio 2008 un ulteriore incontro stabilisce le modalità operative e tattiche delle proteste organizzate per Marzo:

"Forty grassroots activists representing twenty-five Tibetan communities all over India were given an Advanced Training on Grassroots Activism and capacity building from February 15-17, 2008 at Lower TCV School, Dharamshala. This workshop strengthened the coordination of the Tibetan People’s Uprising Movement organized by five leading Tibetan NGOs" "Besides the heads of the five Organizations, the 3-day workshop was also deliberated by Mr. Karma Yeshi, Member, Tibetan Parliament in Exile and Editor in Chief, Voice of Tibet, Ven. Lobsang Jinpa, Editor, Sheja (Tibetan Newsletter), Mr. Tendor, Deputy Director, SFT Headquarters, New York and Mr. Lobsang Yeshi, Former Vice President, Tibetan Youth Congress. The training subjects include the Importance of Co-ordinated Movement, Contemporary Chinese Political Scenario, Strategy and Vision, Situation inside Tibet, Olympic politics, Media and Messaging, Non-Violent Direct Action and Fund-Raising Strategy."
"we will bring about another uprising that will shake China’s control in Tibet and mark the beginning of the end of China’s occupation of Tibet."

Dal 6 all'8 Marzo si tiene l'ultimo incontro relativo alla marcia su Lhasa organizzata dal TPUM, che il 10 Marzo parte e ufficialmente inaugura l'escalation di proteste organizzate per i giorni successivi.

Si giunge così al 14 Marzo.

Evidentemente qualcosa, nell'ambito del metodo non-violento ufficialmente propagato dai sostenitori delle proteste, va storto.

A Lhasa, per cause ancora da accertare, presto le proteste si tramutano in veri e propri attacchi e atti di devastazione diffusi su tutto il territorio cittadino. Tutti i testimoni presenti, stranieri, tibetani o di altre etnie cinesi concordano nell'affermare che gruppi di tibetani si scagliano contro qualsiasi cosa o persona di provenienza cinese. Le banche cinesi vengono incendiate, così come buona parte dei negozi cinesi. E' inutile postare nuovi link a proposito in quanto sono facilmente reperibili in rete, o sono stati già postati da me e altre persone su precedenti commenti.
Ben presto iniziano a girare immagini e video di una città messa letteralmente a "ferro e fuoco", le pile di merci cinesi accatastate in strada e date alla fiamme fanno pensare ad atti deliberati, col valore simbolico di proclamare il boicottaggio e il sabotaggio delle attività cinesi.

Le proteste si allargano rapidamente in altre regioni della Cina.

La reazione del governo cinese è dapprima apparentemente di sorpresa e impreparazione, ma già dal giorno 15 vasti dispiegamenti di mezzi militari arrivano a Lhasa e nelle altre zone colpite dalle proteste.

A seguito delle vicende legate alle proteste tibetane, si scatena una rappresaglia mediatica a livello mondiale di dimensioni inaudite.
I media occidentali fin da subito presentano le vicende secondo lo stereotipo dell'ennesima repressione cinese su pacifici manifestanti tibetani. Le immagini che rappresentano i manifestanti compiere azioni violente vengono censurate, manipolate o comunque non presentate nella loro interezza, mentre si pone l'accento sulla reazione del governo cinese. Il bando imposto dalle autorità cinesi alla presenza di giornalisti occidentali nelle aree colpite dalle proteste contribuisce ad alimentare la confusione e la mancanza di notizie certe su quanto avvenuto. I media occidentali, basandosi sui dati forniti dall' Amministrazione tibetana in esilio", che non è ufficialmente riconosciuta da nessun organismo istituzionale al mondo, cominciano a parlare di strage perpetrata dal PCC, associando il 14 marzo a date tristemente famose come quella del 4 Giugno 1989.

Le accuse della stampa cinese rispetto alla violenza dei manifestanti e alla presenza di forze indipendentiste all'interno del "governo in esilio" vengono, più o meno velatamente, liquidate come propaganda cinese.

Intanto le proteste dilagano in tutto il mondo a seguito del viaggio della fiaccola olimpica. La quasi totalità della stampa occidentale si schiera a favore dei manifestanti.

Spesso a sostegno delle proprie tesi vengono portate "fantomatiche" prove che spesso si rivelano essere bufale confezionate ad arte.

Ancora ieri il tg2 edizione sera mostrava video di violenze compiute da persone con indosso indumenti caratteristici dei monaci tibetani e successivamente insinuava che fossero agenti cinesi travestiti adducendo come prova la foto che da settimane circola in Internet e che è stata ampiamente rivelata come bufala, come ammesso dal TCHRD stesso, che per primo ha pubblicato la foto.

Ancora, è di stamattina un commento di Rampini al suo blog, in cui egli parla di Jin Jing, la teodofora cinese disabile aggredita a Parigi da manifestanti pro-tibet, di cui io stesso commentai su questo blog qualche giorno fa, scrivendo "Le cronache ufficiali dicono che mentre Jin Jing impugnava la fiaccola è stata aggredita da un gruppo di separatisti tibetani. I manifestanti si sarebbero avventati addosso a lei per impadronirsi del simbolo dei Giochi."

Che bisogno c'è di parlare di cronache ufficiali (inteso cinesi) e di usare il condizionale in presenza di foto come queste?

D'altronde la stampa occidentale, in special modo europea, non aveva certo aspettato le olimpiadi per screditare, anche utilizzando toni al limite del razzismo, la società cinese.

Nella valanga di disinformazione mediatica che ci è stata gettata addosso da entrambi i fronti, il mistero più grande rimane a mio parere quello di sapere come in realtà siano andate le cose a Lhasa e nelle altre zone nei giorni scorsi.

In merito alla conta delle vittime, una cosa che non mi spiego è come mai tutti i giornali sono propensi nel pubblicare le stime di 135-140 morti fornite dal governo in esilio (nonostante tale organizzazione abbia già subito critiche riguardo all'attendibilità dei dati rilasciati in passato) ma nessuno, a mia conoscenza, ha pubblicato la lista con i nomi delle vittime fornite dalla stessa organizzazione, reperibile qui:
Tra parentesi, precedentemente avevo trovato tale lista a questo indirizzo, ma perlomeno da ieri non sembra funzionare.. attacco di hacker cinesi? censura da parte dello stesso sito? semplice guasto tecnico?.

E' anche presente una contestazione di tale lista da parte della polizia tibetana e della stampa cinese.

Io stesso, non avendo assolutamente riferimenti per verificare la veridicità o meno della lista, ho proposto tale interrogativo ad un altro blogger, che è stato a Lhasa successivamente alle proteste di Marzo, che ha pubblicato un post dedicato a chi volesse proporre la propria interpretazione o avesse informazioni a riguardo della lista.

Quello che obiettivamente si può considerare è che il blocco del Tibet imposto dal PCC sui giornalisti indipententi internazionali rende difficile rintracciare informazioni sulle persone nominate.
Va anche detto che in ogni caso una verifica sarebbe comunque quasi impossibile, in quanto la mancanza di dettagli aggiuntivi relativa alla maggior parte dei nomi ne rende comunque praticamente impossibile il rintracciamento.

Ultimamente sono stati pubblicati altri 4 nominativi accompagnati da maggiori dettagli.
Il sito, affiliato al governo tibetano in esilio, Phayul.com pubblica la foto e i dettagli di una ragazza che si dice morta durante le proteste in Sichuan il 16 Marzo.

Per quanto sarebbe auspicabile che infine si riesca a capire quali siano le notizie reali e quali invece di conseguenza, disinformazione propagandistica, si potrebbe cercare di discutere in ogni caso sulla appropriatezza del termine repressione, ampiamente utilizzato dalla stampa occidentale in riferimento ai fatti in Tibet, senza peraltro avere a disposizione qualche evidenza di quanto dichiarato.
Quando ci si riferisce ai disordini scoppiati a Los Angeles nel '92, raramente si usa il termine "repressione":
Una ricerca su google dei termini "los Angeles";repressione 1992 porta a 7.780 risultati, molti dei quali non usano la parola repressione in merito alla risposta del governo U.S.A. alla rivolta, mentre se al posto di "los angeles" si digita Lhasa e al posto di 1992 si digita 2008 appaiono 65.100 risultati. E' utile far notare che a Los Angeles sono morte circa 53 persone, di cui almeno 10 uccise da forze del governo U.S.A., che ha anche provveduto all'arresto di diecimila persone e ha inviato carri armati M1 Abrams e veicoli di trasporto truppe.

Il post di Cavalera e, per esempio, questo post di Richard Spencer (corrispondente da Pechino del Daily Telegraph), dimostrano che la stampa sta incominciando a chiedersi il senso di quanto accaduto, ed a soppesarne i risvolti positivi e negativi. Sisci oltre a questo comincia a chiarire i dettagli politici che stanno al centro delle vicende.

A mio parere il supporto della stampa e dei governi occidentali dato agli organizzatori delle proteste hanno contribuito a rafforzare la posizione dei movimenti indipendentisti all'interno della comunità dei tibetani in esilio a scapito della "via di mezzo", ma soprattutto a scapito di chi auspicava in un dialogo tra Dalai Lama e PCC, per trovare una soluzione pacifica ai problemi del Tibet.

UPDATE 29/04/2008:

Ad oggi non risulta accessibile il sito Alternative-tibetaine.org, che contiene importanti documenti sul movimento indipendentista tibetano. Questo mio commento contiene varie citazioni e link a tale sito. Per chi sia interessato è ancora possibile recuperare tali documenti tramite la Google Cache. Lo stesso discorso vale per l'intervista a Tenzin Tsundue pubblicata da Combat Law (Vol 6 Issue 5 September - October 2007 ), recuperabile all'indirizzo http://209.85.129.104/search?q=cache:EFdR4TOj8b8J:www.combatlaw.org/information.php%3Fissue_id%3D36%26article_id%3D1015+%22combat+law%22+%22Tenzin+Tsundue%22&hl=it&ct=clnk&cd=1&gl=it
Non sono ancora a conoscenza dei motivi per cui tali siti siano attualmente indisponibili.

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